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di Nicola Cossar
Ascolto la radio in modo distratto e incostante: non sa più sorprendermi, spesso non ha anima ma soltanto battito e molta contagiosa idiozia globale. Musica popolare? Una mosca bianca, che però ogni tanto accende anche in me ricordi struggenti, vividi, colorati, soprattutto carichi di umanità. Sono mondi ormai lontani, eppure sono mondi friulani. Qualcuno di voi ricorderà che ci fu un tempo in cui la radio era una ricchezza di pochi, la televisione era fantascienza, la corrente elettrica nelle case una conquista. La gente, non ancora infettata di virus social, si incontrava spesso, ogni occasione era buona per bere un bicchiere, fare un canto in compagnia, magari accompagnati da uno strumento: fisarmonica, chitarra, liròn, violino, qualche clarinetto. Era l’epoca dei musicanti, dei sunadôrs (in friulano), poeticamente raccontati da Gigi Maieron in “La neve di Anna”. Quasi nessuno aveva studiato musica o la sapeva leggere, eppure conosceva centinaia di canzoni, villotte, tanti brani trasmessi dalla radio e velocemente mandati a memoria, più o meno fedelmente.
La Straca di Saciletto era nata nel 1921.
Brigitte Helm con dedica a Fausto Pinat.
Pepi Tomasin e Fausto Pinat di Perteole piccola leggenda della Bassa.
Questi sunadôrs in Friuli erano depositari di conoscenze… segrete, erano un’ “autorità” e una “nobiltà” da rispettare, al punto che spesso scandivano i tempi non solo dei balli ma proprio della vita della gente: oltre alle sagre che fiorivano anche nel più piccolo dei paesi, le date dei matrimoni e di altre feste di famiglia alle volte addirittura si fissavano a seconda degli impegni che i musicanti avevano in agenda!
Mondi lontani tornati alla ribalta non molto tempo fa, quando ho raccontato quel sogno di un notte di mezza estate del 1936 in cui a Perteole, frazione del Comune di Ruda, incredibilmente arrivò Brigitte Helm, stella tedesca del cinema muto, ospite degli amici Brethauer in quella che oggi è villa Munich. A lei fu dedicata una memorabile serenata da Fausto Pinat, che con un abbraccio ricevette dalla Musa di Fritz Lang anche una foto con dedica. Ecco, Fausto (che pur aveva un fratello diplomato in violino, Tullio) era proprio un sunadôr. Per decenni ha poi cantato e suonato la chitarra con il “gemello” Pepi Tomasin alla fisarmonica: un duo che, con un repertorio di centinaia di canzoni, nella Bassa divenne una piccola celebrità.
Restando in zona e senza fare elenchi sempre incompleti, con Tomasin e Pinat mi tornano in mente, tanto per fare qualche nome, i vicini musicanti di Saciletto “cantati” da Adriana Miceu, con la “tribù” dei Cocolin (straordinaria famiglia in cui tutti suonavano qualcosa, compreso Pietro, futuro arcivescovo di Gorizia) e con La Stracca (o La Straca, a la furlana), popolarissima orchestrina mobile con i citati Cocolin, i Boschin e i Masarotti attiva fin dal 1921. E poi c’erano Liderno Franzot di Scodovacca, Gjovanùt Quargnal (detto Cidenti) di Ruda e tanti altri ancora. Ogni paese aveva i suoi piccoli e luminosi eroi. Decine e decine, solisti o formazioni già più folte e professionali, dalla Carnia del mitico Pakai e della travolgente Cecilia al mare di Grado e Marano, dallo straordinario “pianeta” Resia dei Micelli e dei Di Lenardo alle valli del Natisone di Liso Iussa e e del bintar Angelico Piva, dai Buttazzoni e Sabadello di Ragogna ai tantissimi della Destra Tagliamento, ai primi gruppi folcloristici, ognuno con la sua storia, ognuno con un suo dignitoso e orgoglioso repertorio.
Conoscevano la musica? Non era importante. Cantavano e suonavano bene? Non era importante. Contava soltanto una cosa: stare insieme in allegria, cantare e (soprattutto) ballare, amici e complici, nostalgici e sognatori, bambini, genitori e nonni. E almeno per un giorno i problemi quotidiani rimanevano fuori della porta.
Fisarmonica in osteria.
Da destra, Angelico Piva con il figlio Francesco e Liso Iussa.
Il Trio Pakai a Ramandolo: Paolo Morocutti, Amato Matiz (Pakai) e Genesio Puntel.
Angelico Piva eclettico polistrumentista tra i fratelli Luigino e Roberto Squalizza.
Resia vanta una secolare e originalissima musica popolare.
Parlando di questa piccola epopea friulana, ma anche italiana, rimane sempre un cruccio: abbiamo sì diverse immagini, ma registrazioni pochissime. Qui da noi, fra i primi a coniugare la necessità della memoria con lo studio accurato e la ricerca sul campo sono stati, fra gli altri, i maestri Claudio Noliani, Giovanni Famea, Bruno Rossi e Mario Macchi, poi i più giovani Andrea Del Favero, Giulio Venier e Valter Colle con Roberto Starec e Pierpaolo Sancin, artefici di un puntuale, professionale e prezioso lavoro di registrazione e archiviazione di tutto quello che sono riusciti a trovare: sia nel variegato e affollato mondo della coralità sia fra i grandi vecchi del folclore friulano più autentico, cioé i nostri sunadôrs.
Ma di tanti altri rimangono soltanto un nome, qualche immagine e in noi un comune grande senso di gratitudine per averci regalato tanti bei momenti di allegria e, soprattutto, di averci fatto apprezzare il piacere di stare insieme nel segno della musica, del canto e del ballo. Mondi altri, lontani, oggi forse impossibili, eppure mai dimenticati, perché sono nelle radici e nel cuore di un popolo.
Per fortuna, altre generazioni hanno saputo coltivare questo amore per la musica di tradizione e metterlo a frutto. Grazie soprattutto a Folkest, sono nati nuovi gruppi, altri affascinanti e coinvolgenti progetti, una bella rinascita che ha saputo donarci fior di musicisti e interpreti: penso, per esempio, agli Amici della fisarmonica, con centinaia di soci che fanno capo a Savorgnano del Torre, “feudo” degli instancabili fratelli Squalizza. Frequentandoli e assistendo a centinaia di concerti di Folkest e del Folk club, e seguendo tanti appuntamenti dei fisarmonicisti, ho capito che quello spirito dei sunadôrs forse non è andato perduto. Ha soltanto indossato nuovi “abiti”, ma non ha tradito quei piccoli eroi popolari, maestri di un Friuli lontano che – come ho detto – nessuno di noi ha mai smesso di amare.
Musica in piazza a Cleulis per ricordare Pakai e Cecilia.
Angelico Piva con Enzo Driussi.
Andrea Del Favero anima di Folkest.
Cecilia Boschetti con i figli Gigi e Daniele Maieron e Roberto Selenati.
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In copertina, la fisarmonica nei matrimoni non mancava mai: qui siamo ad Alture di Ruda negli anni Cinquanta.