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(g.l.) Omaggio a Primo Dri, pittore tricesimano conosciuto come un «lirico interprete del Friuli». È quanto farà da oggi il Centro friulano arti plastiche di Udine con la bellissima mostra allestita nello Spazio espositivo della Fondazione Friuli in via Gemona 3. L’inaugurazione è fissata per questo pomeriggio, alle ore 17.30. Quindi l’esposizione sarà visitabile fino al 20 luglio prossimo durante questi orari: venerdì 16.30-19.30; sabato e domenica 10-12.30/16.30-19.30. La mostra è stata allestita con il patrocinio del Comune di Udine.
«Primo nasce a Tricesimo il 5 aprile 1905 da Giovanni Battista Dri e Antonietta Bertoli, una famiglia di artigiani articolata in più nuclei parentali tutti impegnati in una impresa di costruzioni di tipo preindustriale di grosse dimensioni formatasi negli ultimi decenni del 1800. In età scolare frequenta la scuola elementare e, dopo il diploma, prende a lavorare nell’impresa edile di famiglia»: comincia con queste parole la bella presentazione dell’artista e delle sue opere riportata sul materiale informativo della mostra udinese allestita dal Cfap presieduto da Bernardino Pittino.


«Nel cantiere – prosegue la nota introduttiva – il lavoro non manca e non c’è posto per lo studio, eccetto la frequenza ai corsi serali di disegno. È qui che Primo scopre di essere particolarmente predisposto verso questa tecnica e verso l’arte pittorica in genere. Ma il lavoro ha il sopravvento sugli studi artistici e solo all’età di vent’anni questa passione si riaccende. Nel 1925 è a Venezia, iscritto ai corsi serali dell’Accademia di Belle Arti dove segue un corso di disegno del nudo. Nel 1927, stante la difficile situazione finanziaria della Ditta guidata da Francesco Dri, Primo e suo padre si fanno liquidare la loro parte e si trasferiscono ad Ankara, la nuova capitale turca in espansione edilizia. Qui Primo avvia un’impresa di decorazione edilizia molto apprezzata che, nel 1929, viene interrotta a causa di un’epidemia di ameba. Primo scappa dalla Turchia e, mentre il padre torna a Tricesimo, si reca a Parigi, dove continua il suo lavoro in edilizia, frequentando la locale comunità friulana del Petit Clamard. Se del periodo turco esistono tracce artistiche (dipinti e disegni decorativi), dalla Francia Primo riporta soltanto le suggestioni prodotte dalla visione delle opere degli impressionisti e conosce le innovazioni apportate dalla pittura di Cezanne. Nel 1934 torna a Tricesimo per continuare la professione di decoratore ma, contemporaneamente è sempre più attratto dalla pittura. Nel 1935 sposa Lesbia Brusini, sorella maggiore di Darmo e Alan personaggi di spicco negli ambienti culturali friulani. In questo periodo si trasferisce con la moglie a Roma dove svolge la duplice professione di decoratore e pittore. Dipinge da autodidatta e si interessa alle nuove correnti artistiche. Frequenta l’ambiente della Scuola Romana, conosce Mario Mafai e stringe amicizia con il pittore Giovanni Omiccioli. A Roma inizia veramente il suo impegno nell’attività artistica. Nel marzo del 1937 viene accolta la sua richiesta di ammissione al Sindacato Interprovinciale Fascista Belle Arti del Lazio e, partecipando alla VII Mostra Sindacale, dà avvio alla partecipazione ad altre mostre collettive. Di quel periodo rimangono alcune opere».


Poi la nota prosegue: «Nel 1939, al momento dello scoppio della guerra, trasloca nuovamente a Tricesimo, dove resterà fino alla fine (27 giugno 1975). In un piccolo locale di due stanze e una veranda, illuminata con luce diffusa da nord, interno al cortile dei Milanes in pieno centro del paese, Primo passa dallo sperimentalismo delle prime opere ad una pittura personale dove lo studio dal vero diventa la principale occupazione e dove tratta indifferentemente la pittura ad olio e a tempera dedicandosi allo studio della figura umana, alle nature morte e al paesaggio. Fra il 1938 e il 1944 si impegna in varie collettive ma il suo è un nome fra tanti, la critica e la gente non lo conoscono ancora. Nel 1942 don Pividori, pievano di Vergnacco, gli affida l’incarico di decorare a fresco la volta del coro, la lunetta sopra l’altare maggiore e il ciclo della Via Crucis. L’11 ottobre dello stesso anno i lavori vengono inaugurati con un elogio dei quotidiani locali per l’ottimo risultato delle decorazioni “la finezza e la precisione della pennellata sinfonica dei colori, né troppo freddi, né troppo caldi, l’atteggiamento della persona e degli animali simbolici, tesi nell’acme mistico dell’ispirazione…”. Sono però anni difficili, la guerra imperversa e Primo si chiude nel silenzio del proprio studio e lavora intensamente. Produce un gran numero di opere che fa vedere al pittore e amico Fred Pittino il quale lo convince a fare la prima personale. Nel gennaio del 1944 le opere vengono presentate al pubblico di Udine ed è subito un successo di critica e di visitatori. Entra così nei circoli artistici locali, con mostre collettive e personali. Nel maggio del 1947 propone la sua seconda Personale con un catalogo curato da Arturo Manzano. Nello stesso anno è impegnato ad organizzare, con il cognato Darmo, la seconda edizione tricesimana della Settimana della Friulanità. Recensore della manifestazione per il Messaggero Veneto è Pier Paolo Pasolini che commenta positivamente l’iniziativa definendola “una rassegna che ha raccolto le forze più vive della regione e dove si è respirato un clima di vera civiltà artistica come di solito accade nelle mostre di Milano, Roma e Parigi.” Pasolini ha un giudizio favorevole nei confronti delle tele di Primo Dri e in particolare per il ritratto di A. “intensamente imbevuto di materia con quelle sue pennellate in disgregazione con quei suoi colori ostili alla luce ci mostra una malinconica A”».
«Nel 1948 – si legge ancora nella presentazione della rassegna – espone in collettiva a Trieste e alla prima collettiva internazionale a Buenos Aires quindi apre, per la prima volta a Trieste, la terza personale. Espone quadri di figura, bozzetti e studi per affreschi assieme a paesaggi ad olio e disegni. Nell’estate del 1949 è alla sua quarta personale a Udine con trentacinque opere che riportano le impressioni che il pittore ha raccolto dopo una sorta di itinerario turistico nella propria regione. Qui Primo adotta una nuova tecnica lavorando il colore grasso servendosi di carta assorbente che tratta alla maniera del monotipo. Gli anni Cinquanta del ‘900 lo vedono presente in numerose esposizioni nazionali e internazionali e partecipe a competizioni più o meno importanti alle quali non mancano eloquenti piazzamenti. A un certo momento trova opportuno dissociarsi e isolarsi in un lavoro autonomo nello studio di Tricesimo. Fissa i temi che sente più congeniali e che ha praticato fin dagli esordi e su di essi lavora. Il paesaggio, la natura morta, il ritratto con più soggetti studiati contemporaneamente e a tutti applica lo stesso metodo. Al colore è affidato il compito di costruire le forme e di restituire la luce, luce che non deriva da una fonte esterna ma che è sprigionata dalle cose stesse che ne sono intrise. Nel maggio del 1957 Primo si ripresenta al pubblico udinese con una personale di 35 opere per la gran parte paesaggi e impressioni. Da questo momento in poi, Primo esperimenta nuove tecniche e lavora molto di spatola. Il paesaggio, le colline moreniche della sua Tricesimo mutano aspetto sulla tela: se nelle opere degli anni Quaranta-Cinquanta ne coglieva il dato reale e lo trasferiva sulla tela, ora guarda sì alla realtà circostante, ma la memorizza e la trasfigura sul quadro. Ogni suo paesaggio è serrato entro dimensioni volumetricamente definite, disciplinato secondo ritmi geometricamente scanditi. Poi tanto colore: la tavolozza è intessuta di verdi, di bianchi, di gialli, di azzurri, di violetti, di rossi e di grigi opachi e autunnali. Tutti questi colori, ora granulosi, ora lavorati da rapidi colpi di spatola o stesi da una pennellata larga e leggera, si fondono in un’armonia tonale. Scrive Serravalli nel 1968: “Dalla sua terra, il Friuli, riporta l’amore per la natura tradizionale di quei paesi, trattando una pittura centrata soprattutto sui problemi della luce e del colore. Il nome di Cézanne viene spontaneo, così come quelli di Soffici e Rossi e – magari – di Sironi e Carrà, insomma quella tendenza post-impressionista che fu chiamata, in Italia, pittura del Novecento”».

Per ulteriori informazioni:
e-mail: centroartiplastiche@gmail.com
Fb: Centro Friulano Arti Plastiche – CFAP
Instagram: centrofriulanoartiplastiche
Sito web: https://cfapfvg.wixsite.com/cfap-fvg

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In copertina, “Neve a Tricesimo” del 1951; all’interno, altre opere degli anni Quaranta.

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