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di Nicola Cossar
Figurativo, eppure creativo, idealista concreto capace di declinare, nei suo disegni e nei suoi dipinti, tutti i colori del mondo e degli animali che lo abitano, a due, a quattro o più zampe, capace di dare volto, voce e umanità agli ultimi, i veri eroi del suo mondo vecchio e nuovo, un mondo altro, spietatamente compassionevole. Avrete già capito che è impossibile definire o, meglio, imprigionare il linguaggio dell’artista rudese Evaristo Cian. Ma vi farete sicuramente un’idea più precisa visitando la mostra “Di segni e segnali”, che sarà inaugurata oggi, alle 18, alla galleria La Loggia di piazza Libertà, a Udine. Le opere esposte vanno dal 2020 al 2025 e saranno presentate dal critico Lorenzo Nuovo. Ho conversato a lungo con Evaristo in attesa di questo appuntamento, cui lui tiene moltissimo, alla galleria di Maristella Cescutti, amica dell’arte e degli artisti, da oltre 50 anni la Signora della Loggia.
– Maestro, è vero che pittori si nasce?
«Non sono così categorico, almeno nell’arte. Posso dire soltanto che dipingevo già da bambino. Amavo molto il disegno, volevo fare mio tutto quello che vedevo, come gli oggetti domestici dei nonni Milia e Meni (ricordo che sulla cassapanca c’erano le zucche e i sigari), e poi scarabocchiavo tutti i libri, tanto che quando li passavo ad altri nessuno li voleva! Negli anni di scuola ho fatto il ritratto a molti compagni: soltanto con uno non ci sono riuscito, con Sabbadini di Pieris, che non me l’ha mai perdonato. Son ricordi lontani, però ogni tanto emergono, serenamente».
– Vedova, Zigaina, Colò, Mocchiutti, Altieri. Grandi artisti con i quali hai incrociato la tua strada. Che cosa ti hanno dato questi incontri, queste frequentazioni?
«Mi piace la parola “frequentazioni” perché quando si parla di incontri si pensa sempre a fortunate coincidenze, alla superficialità. Per me non è stato così: ho voluto bene a questi artisti e ho imparato tanto da loro. Come nei due anni che ho frequentato l’atelier veneziano di Emilio Vedova, a Dorsoduro. Zigaina è stato un vero amico per decenni, mai generoso di complimenti, però mi disse: “Chi non sa disegnare non è un pittore. Tu sai disegnare”. Un giudizio che mi è rimasto nel cuore. Cesare Mocchiutti è stato un amico prezioso, come lo è da sempre Sergio Altieri. Però permettimi di ricordare in particolare Aldo Colò, uomo e pittore stupendo, l’unico di quelli che ho conosciuto sempre presente alle mostre degli artisti della nostra regione».
– Sbirciando fra i quadri che ammireremo in questa tua nuova personale alla Loggia, ho un avvertito qualcosa di misteriosamente inquietante…
«Certo che sì! L’artista deve provocare, stupire alle volte, far riflettere sempre. Comunque, il titolo della mostra parla chiaro: i segni sono i tratti del mio fare arte, i segnali sono riflessioni, indicazioni, certo non istruzioni per l’uso della vita. Far pensare. Mi rendo conto che è un lusso ai nostri giorni, una sfida cui non intendo sottrarmi».
– Le tue stagioni artistiche sono cominciate nel 1972 al Torchio di Gorizia, una galleria che purtroppo non c’è più. Sei rimasto fermo a lungo e poi sei tornato nel 1989 con una mostra aquileiese presentata da Zigaina. Nelle tue opere c’era molto spesso un messaggio politico, di lotta alle ingiustizie, una denuncia quasi militante. Non lo vedo più…
«Verissimo! Ma tutto cambia, tutto scorre. La politica è stata una mia travolgente passione ideale, con la “p”, maiuscola, oggi invece vedo soltanto cose con la “p” minuscola. Sono disamorato, per non dire altro. Così, se devo parlare di politica, lo faccio solamente con un uomo che abbia i pantaloni rotti. Ma rotti non per la moda, bensì perché non ha nemmeno i soldi per comperarsene un altro paio. Un perdente vincente. Oggi, dopo 50 anni di mostre, sono questi i miei eroi “politici”, nessun altro».
– Ma anche i binari creativi sono cambiati?
«No, questi mai. Ho sempre avuto quattro motivi conduttori: i ritratti, i paesaggi, gli animali e le donne. Dei ritratti ho già detto e delle donne posso dire che non cerco la bellezza canonica, ma un taglio del viso particolare e l’“impronta” degli occhi, da cui inizio: sono lo specchio dell’anima, non si sbaglia mai».
– Nei paesaggi c’è molto Friuli, molta Bassa. Un Friuli che sembra sospeso nel tempo, o forse estraneo ad esso.
«Amo la campagna friulana, in ogni stagione. Chi mi conosce sa che prediligo i gelsi, perché sono tenaci quasi come gli ulivi, quasi come i friulani, signori solitari in mezzo ai campi. Ecco, se vogliamo, un altro segnale. E poi tanti paesaggi con alberi e vigne, case sparse e lontane, insomma sono tutti caratteri forti di questa mia e nostra amata terra».
– Il tuo rapporto con gli animali è davvero molto particolare e sicuramente controcorrente.
«Ho dipinto spesso i miei cani, ai quali ho sempre dato nomi speciali, importanti, come Gerson (campione brasiliano di calcio) o Tito (Josip Broz). E poi c’è il nostro Gregor (da Kafka),
amatissimo e indimenticato corvo ammaestrato e gentile, sempre presente in casa Cian. Pensa che a pranzo e a cena stava a tavola con noi: mangiava nel suo piatto… e anche nei mio! Era uno di
famiglia. Ma ho dipinto spesso anche i cinghiali, i nuovi perseguitati».
– La tua costante stilistica è rappresentata da una pittura figurativa, ma nelle tue opere si vede un mondo altro, crudo forse ma sincero, antico e futuro, capace di riportarci a quel “come
eravamo” che abbiamo buttato. E così?
«Sì, è proprio così. Non devo e non voglio insegnare niente a nessuno, però il mio segno indica un preciso, umile ma fiero percorso che va ben al di là e al di fuori del dipinto. Il caro Aldo Colò mi disse che gli piacevano i miei lavori perché, pur essendo un figurativo, ero un creativo che “ricostruiva” situazioni viste e talvolta vissute, un po’ come le invenzioni dal vero di Giovannino Guareschi. Fatte le debite e rispettose proporzioni, ovviamente. Rimane il più grande complimento che potessi ricevere».
Insomma, il mondo di Cian non è distopico, nostalgico o ideale, ma è pacifico, giusto, coraggioso, umano. Vorremmo tutti che fosse così.
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In copertina, il corvo e il cane soggetti fra i preferiti di Evaristo Cian; all’interno, altre opere significative dell’artista di Ruda.