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di Giuseppe Longo

CIVIDALE – Splendido debutto, ieri sera, a Cividale, dell’opera in un atto di Béla Bartók “Il Castello di Barbablù”, portato in scena, nell’ambito di Mittelfest “Inevitabile”, dal Conservatorio “Giuseppe Tartini” di Trieste attraverso una collaborazione internazionale che raccoglie – con la regia di Marco Angius, il coordinamento produttivo di Andrea Amendola e la supervisione di Sandro Torlontano – alcune delle migliori energie della Facoltà di Musica dell’Università delle Arti di Belgrado e dell’Accademia delle Arti di Novi Sad, quale evento di cooperazione culturale Italia-Serbia. Hanno, inoltre, collaborato il Conservatorio “Benedetto Marcello” e l’Accademia di Belle Arti di Venezia. Dopo questa prima assoluta, la conclusione del progetto avverrà in ottobre, quando l’orchestra eseguirà l’opera anche nella Capitale serba, Belgrado appunto, e nella stessa Novi Sad, dove il “Tartini” era stato protagonista, con un’analoga esperienza, già nell’autunno scorso.

Molto applaudita nella storica Chiesa di San Francesco la formazione guidata dal giovane direttore georgiano Vakhtang Gabidzashvili che ha “dialogato” con due voci talentuose – quelle del baritono Tamaš Kiš, nelle vesti del duca Barbablù, e del mezzosoprano Kamilla Karginova, che interpretava la novella sposa Judit -, conducendo lo spettatore-ascoltatore in un itinerario misterioso, dopo il prologo interpretato con efficacia dall’attore Giacomo Segulia, le cui parole hanno preparato l’uditorio a quanto stava per essere rappresentato, in quanto i testi sono stati cantati nella lingua originale, l’ungherese di Bartók. A integrare, poi, il dipanarsi della oscura vicenda la efficace proiezione di suggestivi quadri sullo schermo posto alle spalle dei musicisti della sinfonica italo-serbo-veneziana, realizzati da Igor Imhoff per l’Accademia di Belle Arti lagunare.


L’opera, composta da Béla Bartók nel 1911, e rappresentata a Budapest nel 1918, racconta una storia inquietante proposta dal libretto di Béla Balàzs, il quale, attingendo a una famosa favola divulgata dal seicentesco Charles Perrault, tratteggiò un duca Barbablù condannato a non trovare l’appagamento di cui è costantemente alla ricerca: le sue quattro donne sono momenti provvisori della vita, destinati a sparire nel buio lasciandolo alla sua più triste solitudine. Ed è proprio da quest’opera, che lo stesso Bartòk declinò in forma di concerto – e la cui revisione per baritono, mezzosoprano e orchestra è opera di Eberhard Kloke -, nasce la nuova produzione del Conservatorio di Trieste. Ricordiamone, allora, tutti i protagonisti: Tijana Drinic, Andrijana Kosovac, Anna Biasutti, Marija Jankovic, Jelisaveta Zoric, Jovana Mrdenovic (violini primi); Mina Ospenica, Milica Mrdenovic, Pietro Furlanetto, Daniel Longo, Federico Secchi, Fabio Pez (violini secondi); Jacopo Toso, Jovana Kovacevic, Snezana Acimovic, Jelisaveta Jaredic (viole); Enrico Zambon, Catarina Buljancevic, Marco Giovanni Turetta, Isidora Krmpotic (violoncelli); Vanja Crnobrnja, Lorenzo Ghirardini (contrabbassi); Adrijana Pantic e Sara Nikolic (flauti); Marta Milosevic e Lena Crnomarkovic (oboi); Ivana Glavina, Ana Starc, Stojan Petroucev (clarinetti); Nikola Cvetokovic e Martina Miniussi (fagotti); Sergio Lazzeri (controfagotto); Stefano Pastorcich (sax); Vadan Pacicevic e Milica Mihovic (corni); David Surdanovic (tromba); Milun Mitic (trombone); Irina Pejoska (arpa); Matteo Di Bella e Lorenzo Flori (pianoforte celesta e synt); Mia Kristan e Daniel Ciacchi (percussioni).
E ora soltanto due cenni alla trama, ben sintetizzata nel programma. «Una grande sala nel castello del duca Barbablù, nella quale vi entra assieme a Judit, l’ultima moglie, nell’oscurità quasi totale. Il duca le ricorda l’ostilità di madre, padre e fratello per aver deciso di abbandonare la casa natale. Judit non ha avuto esitazioni a partire, ma le gelide tenebre del castello, privo di finestre, e l’acqua che traspira dalle mura, quasi lacrimassero, la sgomentano. Altrettanto misteriose e sinistre le paiono le sette porte chiuse che danno sulla sala principale: le aprirà, una dopo l’altra, come trascinata in una inevitabile e tremenda spirale». Ecco, dunque, anche in quest’opera l’aggancio con la parola “inevitabile” che quest’anno fa da filo conduttore all’intero “canovaccio” predisposto per Mittelfest dal suo direttore artistico Giacomo Pedini, presente alla rappresentazione con il direttore del “Tartini”, Torlontano, e i responsabili musicali dell’insieme orchestrale, maestri Angius e Amendola.


Un racconto in musica, dunque, suggestivo e coinvolgente, anche se non sempre di facile ascolto, nel quale i toni cupi s’intrecciano con quelli più leggiadri e luminosi, addirittura allegri e sereni per avviarsi a un finale animato e maestoso che non ha mai distolto l’attenzione del pubblico, che, anzi, ha seguito la vicenda passo dopo passo, pur nella difficoltà motivata da una lingua per noi incomprensibile. Un racconto che ha coinvolto ed emozionato, come avvenne quasi trent’anni fa in una delle primissime edizioni del festival, allora diretto dall’indimenticato Giorgio Pressburger. In quel 1995 l’opera fu portata in scena dall’allora Orchestra Filarmonica di Udine, diretta dal maestro Anton Nanut, scomparso poco più di sei anni fa.
E ora la parola da Cividale passa alla Serbia con le due rappresentazioni che, dicevamo, i protagonisti applauditi ieri sera porteranno in ottobre a Belgrado e a Novi Sad. E anche laggiù gli applausi di certo non mancheranno, anche perché la storia narrata è più vicina alla cultura dei popoli balcanici.

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In copertina e all’interno alcune immagini del bellissimo concerto di ieri sera nella Chiesa di San Francesco a Cividale.

 

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